Il richiamo di Mario Draghi dà forza al pressing che da mesi arriva da governi e industrie: rivedere le norme sulle emissioni delle auto e farlo “il prima possibile”. Nel suo nuovo affondo contro i freni Ue alla competitività, l’ex premier ha lanciato un messaggio netto: la transizione imposta all’automotive poggia su presupposti che ormai “non sono più validi” e difficilmente – al pari di un settore energetico profondamente da rivedere e di batterie e microchip su cui cambiare passo – sarà realizzabile senza correttivi. O quantomeno senza l’adesione convinta dei colossi del settore a un percorso comune. Ursula von der Leyen lo sa e, stretta tra le pressioni del suo Ppe e di Berlino, promette di “concludere la revisione” del regolamento che dal 2035 vieterà la vendita di motori a combustione interna “il più rapidamente possibile”.
Una data per l’avvio formale del riadattamento delle norme ancora non c’è. Ma a Bruxelles – dove la scorsa settimana si è svolto il terzo dialogo strategico sull’automotive – si guarda già a dicembre per i primi annunci sulle “opzioni” in campo. La tabella di marcia è delineata: chiudere a inizio ottobre la consultazione pubblica, redigere la valutazione d’impatto e presentare la proposta legislativa vera e propria all’inizio del 2026. L’obiettivo delle emissioni zero entro dieci anni per auto e furgoni nuovi rimane, almeno nel messaggio che continua a filtrare da Palazzo Berlaymont, ufficialmente intoccabile. Ma sul tavolo si valutano nuove forme di flessibilità, oltre a quelle introdotte quest’anno che consentono di calcolare la conformità ai target su tre anni anziché su uno, evitando così multe milionarie. “Il mercato dei veicoli elettrici è cresciuto più lentamente del previsto. L’innovazione europea è rimasta indietro, i modelli sono ancora costosi e le politiche sulle catene di approvvigionamento restano frammentate”, ha osservato Draghi, ricordando che “il parco auto europeo – 250 milioni di veicoli – sta invecchiando e le emissioni di CO2 sono rimaste pressoché invariate negli ultimi anni”. Per questo, è stata la sua indicazione, “la prossima revisione dovrà seguire un approccio tecnologicamente neutrale, fare il punto sugli sviluppi di mercato e tecnologici” e tener conto “delle catene di approvvigionamento, delle esigenze infrastrutturali e del potenziale dei carburanti a zero emissioni”. Una modifica che, ormai è certo, servirà a sancire il principio di neutralità tecnologica: via libera agli e-fuel richiesti dalla Germania, riapertura del dossier biocarburanti caro all’Italia e possibili aperture anche sul fronte delle tecnologie di transizione. Bruxelles punta poi a sviluppare una nuova categoria normativa per le piccole auto elettriche, creando un segmento di e-car ‘made in Europe’ annunciato da Ursula von der Leyen nel suo discorso sullo Stato dell’Unione. Palazzo Berlaymont starebbe inoltre valutando una deroga di qualche anno per i plug-in hybrid e i range extender. Sempre entro fine anno, è attesa la proposta legislativa per l’elettrificazione delle flotte aziendali. Visto che queste rappresentano circa il 60% del parco auto comunitario, la Commissione sta studiando l’introduzione di target nazionali – ancora da decidere se obbligatori per Stati membri, singole imprese o flotte – e di incentivi finanziari per rendere più verde il settore. Una mossa che rischia però di attirare nuovamente gli strali di molte capitali, Roma compresa.
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