Il cyberattacco che da settimane
sta paralizzando buona parte della produzione in due
stabilimenti automobilistici inglesi di Jaguar Land Rover (Jlr),
storico marchio britannico passato da anni sotto il controllo
del colosso indiano Tata, ha innescato in queste ore una
polemica fra i sindacati e l’azienda. I primi accusano il
management d’aver scaricato i costi dell’incursione –
inizialmente minimizzata e dovuta apparentemente anche alle
lacune dei sistemi di sicurezza informatica interni – sui
lavoratori: ridotti temporaneamente “a stipendio zero”, secondo
il sindacato Unite, e spinti a rivolgersi al sistema
dell’unversal credit, ammortizzatore sociale di pura sussistenza
pagato con il denaro dei contribuenti.
La segretaria generale di Unite, Sharon Graham, ha
sollecitato oggi il governo laburista britannico di Keir Starmer
a intervenire con un sussidio ad hoc, come quello messo in campo
di recente per un’industria di autobus a rischio di bancarotta
in Scozia, se non riuscirà a convincere i vertici di Jlr a
cambiare registro. “Il governo ha la responsabilità ultima di
proteggere i posti di lavoro e queste industrie sono vitali per
l’economia nazionale”, ha dichiarato Graham alla Bbc. “I
lavoratori delle linee di produzione coinvolte dal cyberattacco
non ne devono pagare il prezzo” di tasca loro, ha aggiunto.
L’incursione informatica appare analoga a quelle che in
estate hanno colpito diverse catene della grande distribuzione
nel Regno Unito, attribuite a bande criminali di hacker dedite
all’estorsione. Sulla carta, le fabbriche bloccate dovrebbero
tornare all’attività ordinaria per il 24 settembre, scadenza
fissata per il ripristino delle reti investite dagli effetti
dell’attacco. Ma secondo fonti ufficiose citate dai media, un
pieno ritorno alla normalità potrebbe slittare fino a novembre.
ITALIA